Annamaria Cacciamani
«E ti vengo a cercare anche se solo per vederti o parlare. Perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza». Prendendo spunto dai versi di una canzone di Franco Battiato, mi piacerebbe pensare che questo sia lo slancio autentico di ogni adulto (genitore, educatore, insegnante, allenatore, barista…) verso quelle giovani anime spesso inquiete che scelgono la notte per vivere la loro libertà di vita. «Dove sei allora?»: è questa la domanda più vera che possiamo porci. Dove sei, giovane, che spesso ti nascondi e, al tempo stesso, ti riveli dentro il tunnel dell’eccesso, in cui cerchi in fondo nient’altro che qualcuno che si accorga di te, qualcuno che ti venga a cercare.
Il filosofo Umberto Galimberti, nel testo «L’ospite inquietante», in cui analizza il vuoto di senso della realtà giovanile, sostiene proprio questo: «I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra i loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui». Cosa fare, allora? Uno spunto interessante ci viene da un altro filosofo contemporaneo, Walter Benjamin: «L’unica redenzione possibile è quella offerta dalla memoria». Il fulcro essenziale delle sue tesi è l’inversione del tradizionale rapporto tra passato e presente: se solitamente abbiamo sempre concepito il presente come la risultante di un flusso di eventi che proviene dal passato, Benjamin concepisce il passato come l’altra faccia del presente, derivante e prodotto da esso.
È il presente che genera dal suo interno il proprio passato, e il passato non può sussistere indipendentemente da un presente che lo testimonia e lo redime. Dunque, la risposta al dramma di tanti giovani si può rintracciare proprio qui, nella ricerca di un tempo presente da condividere, nel desiderio di trovare un senso attraverso il confronto di storie, di incontri tra generazioni. Nel ricostruire una memoria comune. La fuga dei ragazzi nell’alcol, nella droga, nello stordimento, nel vuoto di relazioni, non è altro che un tentativo estremo di urlare il loro bisogno di vita. Riprende ancora Galimberti: «I giovani vivono di notte perché di giorno nessuno li riconosce, nessuno ha bisogno di loro». Cosa serve, quindi, per ritrovare queste anime? Non aver paura di loro, delle loro scelte estreme, ma sforzarsi di andarli a cercare dove sono, nella notte della loro fatica di vivere. «Bisogna avere il coraggio di vivere fino in fondo anche l’insignificanza dell’esistenza per essere all’altezza di un dialogo con loro», un dialogo che dia voce a quel grido esistenziale taciuto e che è il grido di chi semplicemente dice «ci sono anch’io», e che dia valore all’esistenza con energia e passione.
I giovani di energia ne hanno da vendere: hanno solo bisogno di chi crede in loro e ha fiducianelle loro capacità, o come sostiene sempre Galimberti, «nelle loro virtù»: in quel “daimon” di ognuno, quella forza originale e interiore che quando trova la sua realizzazione, conduce alla felicità. La soluzione, non facile ma possibile, è nel far incuriosire i giovani di sé, aiutarli a scoprire chi sono e far loro sentire che il futuro li attende e li rivela nei piccoli e grandi passi del presente. Passi da compiere di giorno, con fatica ma anche con speranza, in un dialogo continuo con la vita. «Che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani? È solo una faccenda di spreco di energie e il primo sintomo della sua dissoluzione. Forse l’Occidente non sparirà per l’inarrestabilità dei processi migratori contro cui tutti urlano, ma per non aver dato senso e identità, e quindi aver sprecato le proprie giovani generazioni». Io ti vengo a cercare «perché mi piace ciò che pensi e che dici, perché in te vedo le mie radici». Tu ci sei.