Il giurista Pino Morandini, già magistrato del Tar Lombardia, membro della Giunta del Movimento per la Vita nazionale e vice presidente dell’Associazione Family Day-Difendiamo i Nostri Figli, è intervenuto al Giubileo diocesano degli operatori di giustizia, svoltosi nella Cattedrale di San Giovanni, a Macerata, lo scorso 28 novembre.
Un incontro partecipato che ha visto la presenza del vescovo di Macerata mons. Nazzareno Marconi, del presidente dell’ordine degli avvocati di Macerata Paolo Parisella (l’evento è stato accreditato con 1 credito formativo in materia deontologica) e delle autorità civili e militari del territorio.
“La giustizia, servizio di speranza” è stato il tema trattato nella sua relazione da Morandini: «Penso che la giustizia possa essere veicolo di speranza, sta a noi, operatori di giustizia, cercare di trasformarci attraverso i nostri comportamenti, le nostre decisioni e di riuscire a essere strumenti per poterla portare – ha spiegato –; è importante che nelle nostre decisioni teniamo presente come dietro alle carte e ai ricorsi ci siano le persone, le quali vivono momenti di ansia e di attesa di fronte a queste decisioni».
Per Morandini, «bisogna dare possibilità alle persone di recuperare di fronte e ai proprio errori e di redimersi», dopo l’espiazione di una pena: «La nostra deve essere una testimonianza di umiltà nel fare il nostro lavoro, dobbiamo considerarci alla pari delle persone che andremo a giudicare – ha proseguito –, la speranza è il desiderio che ogni uomo ha di aspirare alle felicità e comportandosi in tale maniera possiamo alimentare questa speranza in ognuno di noi».
Il magistrato ha poi ricordato come la giustizia nasca a difesa dei più piccoli e come all’inizio di questo sentimento ci sia sempre il diritto: «I più forti si difendono da soli, quindi il diritto ha una funzione grande e antropologica profonda – ha detto Morandini –, deve essere rispettoso del reale e far prevalere la forza della ragione e non la ragione della forza come spesso oggi accade. A rimetterci, in tal caso, sono i più deboli, i più fragili, frontiere della vita umana che hanno il bisogno di sentire che il diritto le vuole proteggere».
Solo in questo modo, ha poi concluso il già membro del Tar Lombardia, gli operatori possono «generale la civiltà della verità e dell’amore», ridando speranza al mondo: «Quando i più fragili sono oggetto di un’attenzione positiva da parte delle Istituzione, del diritto e delle leggi – ha affermato ancora Morandini –, si alimenta la speranza nel cuore di ogni uomo».
Al termine dell’appuntamento, il vescovo Marconi ha celebrato la Santa Messa. «La cultura giuridica elaborata e perfezionata nel corso dei millenni dalla nostra civiltà occidentale è stata un tentativo di fondare il diritto anche su quelle parole del Vangelo che il Signore ci assicura non passeranno – ha detto il presule durante l’omelia –, portatori di questi valori che non mutano, potremo così contribuire a costruire una cultura mondiale sempre più fraterna, elaborata assieme con tanti popoli, eredi di culture spesso altrettanto millenarie e degne, perciò, di attenzione e rispetto».
È questo il messaggio dell’amicizia tra le culture di cui fu grande testimone il padre Matteo Ricci: «Credere che le parole del Vangelo non passeranno, significa confidare nel fatto che attraverso di esse i cuori puri ed onesti che cercano quella verità che non muta sono aiutati a raggiungerla – ha poi terminato mons. Marconi –, la verità non è mai un possesso esclusivo di qualcuno, ma sempre un obiettivo da raggiungere e custodire, che in definitiva è un dono fatto da Dio».
