La Giornata Internazionale della donna sia, nella lettura delle storie di queste donne coraggiose, stimolo per non dimenticare l’unicità e la ricchezza che possiamo portare come contributo per la costruzione di una società di pari opportunità.
MALALAI JOYA
«Che l’8 marzo sia il giorno della lotta determinata. Restiamo unite, donne di Afghanistan, questo è il momento di essere coraggiose, di non cedere alla stanchezza. Perché, come diceva Rosa Luxemburg: chi non si muove non si accorge delle proprie catene.» È il messaggio di Malalai Joya che vive in esilio in Spagna. Malalai nasce il 25 aprile 1978. Figlia di uno studente di medicina, all’età di 4 anni, durante la guerra civile, è costretta a rifugiarsi con la sua famiglia in un campo profughi in Iran e più tardi in Pakistan. Dopo il ritiro delle truppe sovietiche e i quattro lunghi anni di guerra civile, nel 1998 Malalai rientra in Afghanistan, ancora sotto il potere del regime talebano. Considerata una delle principali attiviste nel campo della difesa dei diritti umani e delle donne, nel 2003 Malalai Joya, a soli 26 anni, fu eletta dai suoi concittadini come delegata alla Loya Jirga (Grande Assemblea) che doveva stilare la carta costituzionale del paese. Durante l’assemblea riunita per ratificare la costituzione dell’Afghanistan, denunciò con coraggio quasi sfrontato gli sporchi affari dei “Signori della guerra” seduti poco più avanti di lei. Da quel momento subì diverse minacce di morte e dovrà vivere sotto scorta. Successivamente è sospesa dal suo ruolo di membro del Parlamento sulla base di insulti ad un suo collega durante una trasmissione televisiva. Quando i talebani sono tornati al potere, su spinta di familiari e amici, si rifugia in Europa per sfuggire a morte certa, anche se non avrebbe mai voluto lasciare l’Afghanistan. È stata insignita del premio Anna Politkovskaya e la stampa internazionale l’ha definita come “la donna più coraggiosa dell’Afghanistan” …La sua denuncia è spesso verso gli Stati Uniti che in nome di una pacifica riconciliazione hanno portato ancora una volta i talebani al potere, dimenticando che la pace senza giustizia non ha senso. Il risultato è più spargimento di sangue, più disastri, più violazioni di diritti umani. Dice: «È orrendo negare alle donne i loro diritti fondamentali. E senza dubbio privarle dell’istruzione che è la chiave per l’emancipazione. I talebani hanno paura della consapevolezza delle donne istruite perché sono quelle che, consce della propria identità, cercano un ruolo nella società. Per loro le donne devono essere usate solo per soddisfare le loro brame, badare alla casa e avere figli. Tenere sotto scacco più della metà della popolazione, quella femminile, è un modo per controllare più facilmente l’altra metà.» Lei è stata anche insegnante clandestina nei campi profughi di donne e ragazze. Ha dedicato la sua lotta per la democrazia con una Laurea prese di recente. Spiega che: «Le donne dell’Afghanistan non sono più quelle di 40 anni fa. Sono più istruite e consapevoli dei propri diritti. Mai rinunceranno alla resistenza, mai si arrenderanno. Lotteranno per farsi spazio in una società di uomini che le trattano come cittadini di seconda classe, neppure esseri umani. I talebani possono mettere le donne al bando da scuole e università ma non potranno mai impedire loro di pensare con la propria testa. L’educazione è fondamentale per aprire occhi e menti. La libertà e la democrazia in Afghanistan sono state la menzogna del secolo. Nessuna nazione può donare la libertà a un’altra. La democrazia non è un bel fiore che gli stranieri possono regalarci. È figlia di una lotta instancabile, determinata, senza paura. Sfortunatamente la nostra è una società patriarcale, tradizionale, maschilista, in cui i fondamentalisti misogini sono sempre stati al potere facendo credere alle donne di essere inferiori rispetto agli uomini…». Anche lei chiama l’Occidente a non dimenticare. «Se l’amministrazione degli Stati Uniti ha sostenuto i nemici del nostro popolo, ci aspettiamo che la gente comune di tutto l’Occidente si unisca al popolo afghano. Abbiamo bisogno del sostegno morale degli amanti della libertà e della giustizia di tutto il mondo. Abbiamo bisogno di iniziative pratiche di tipo educativo, per esempio, borse di studio per progetti di e-learning e apprendimento continuo. In questa lotta lunga e rischiosa la solidarietà internazionale è cruciale. Non dimenticate le persone oppresse dell’Afghanistan solo perché gli Stati Uniti e le truppe della Nato sono tornate a casa.» “Finché avrò voce” edito dalla Piemme è il libro che attraverso la vita dell’autrice e della sua famiglia ripercorre la storia dell’Afghanistan dal 1919, quando gli inglesi furono costretti a concedere l’indipendenza. Una donna determinata a non arrendersi mai con la speranza che le viene dalle parole di Martin Luther King: “Credo che la verità disarmata e l’amore incondizionato avranno l’ultima parola. Questo è il motivo per cui il diritto, momentaneamente sconfitto, è più forte del male trionfante”.

ANGELA MARIA GUIDI
Nasce a Roma nel 1896 in una famiglia della borghesia cattolica romana, terza di quattro femmine, studiò presso l’istituto delle suore Dorotee al Gianicolo dove ebbe occasione di conoscere la fondatrice e presidente dell’Udaci (Unione tra le Donne Cattoliche d’Italia), la principessa Maria Cristina Giustiniani Bandini. Fu un incontro molto importante per lei e dirà: «Credo di essere diventata femminista con l’uso della ragione ma chi mi ha spinto su questa strada è stata donna Cristina Giustiniani Bandini» che nel 1915 la fece iscrivere all’Udaci e la invitò a partecipare alle iniziative organizzate per la mobilitazione del fronte interno durante la guerra. Quando nel 1918, Armida Barelli fondò la Gioventù Femminile cattolica italiana, fu tra le prime iscritte e divenne dirigente del gruppo romano. Nello stesso periodo si impegnò nella valorizzazione del lavoro femminile sia nelle cooperative che nelle piccole industrie e fu tra le pioniere della organizzazione sindacale femminile. L’incontro con don Luigi Sturzo determinò l’orientamento definitivo della sua vocazione politica. Prima tesserata femminile del Ppi, partito che nel suo programma si poneva l’obiettivo del voto alle donne. Divenne segretaria del gruppo femminile romano, ruolo che mantenne fino allo scioglimento del partito durante il fascismo. Gli anni Venti e Trenta furono per lei particolarmente intensi e tutto il lavoro si concentrò sulla cooperazione e il lavoro femminile legato all’Azione cattolica. Nel 1924 vinse, unica donna che vi partecipò, un concorso presso l’Ispettorato del lavoro e nel 1925 ottenne l’incarico di Ispettore. Successivamente venne nominata vicepresidente della Commissione per il riordinamento legislativo dell’emigrazione al ministero degli Esteri e nel 1929 fu tra le fondatrici dell’Associazione nazionale delle professioniste ed artiste, che lasciò, mantenendo fede al suo antifascismo, nel 1931, quando venne assorbita dalle organizzazioni fasciste, con conseguente obbligo di tessera. Nello stesso periodo svolse anche un’intensa attività giornalistica, di studio e di inchiesta, che ne fecero una delle maggiori esperte dei problemi relativi al lavoro femminile. Durante il fascismo partecipò alle riunioni clandestine dei popolari, dove conobbe Mario Cingolani, vedovo e padre di tre figli, autorevole esponente dell’Azione cattolica, ex parlamentare del Ppi e figura di spicco della futura Democrazia cristiana. Lo sposa nel 1935 e da lui ebbe l’unico figlio, Mario. Durante i mesi di gravidanza riprese gli studi universitari presso l’Istituto orientale di Napoli dove si laureò in Lingue e letterature slave. Nel periodo della Resistenza, insieme con il marito, ospitò nella loro casa di via Settembrini il Comitato di liberazione nazionale, organizzò aiuti per i fuggiaschi e i perseguitati e diventò un importante punto di riferimento per gli antifascisti romani. Nel 1944, unica donna nel Consiglio Nazionale del partito. ebbe anche il ruolo di delegata nazionale del Movimento femminile e tra il 1944 e il 1946 si dedicò alla organizzazione impegnandosi nell’attività di formazione delle donne alla politica con corsi e seminari. A liberazione avvenuta, fu nominata membro della commissione di politica estera del partito. Nel 1945 entrò a far parte con altre dodici donne della Consulta Nazionale dove tenne il primo intervento in assoluto svolto da una donna in un’assemblea democratica nazionale nel nostro Paese. «Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula. Non un applauso dunque per la mia persona ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del Paese. Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane; credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale» Nel 1946 fu una delle ventuno donne elette alla Costituente e partecipò ai lavori della Commissione lavoro e previdenza. Nel 1948 fu eletta deputata e dal luglio 1951 al luglio 1953 ricoprì la carica di sottosegretario all’Artigianato nel ministero dell’Industria e Commercio, prima donna al governo in Italia. Nel frattempo, nel 1950 aveva fondato, insieme ad Angelina Merlin, Maria De Unterrichter e altre, il Comitato Italiano di difesa morale e sociale della donna, che offriva assistenza a coloro che intendevano uscire dalla prostituzione. Divenne poi sindaco di Palestrina fino al 1965 dedicandosi all’opera di ricostruzione post-bellica della cittadina e alla valorizzazione del suo patrimonio archeologico. Muore nel 1991.
