DONNE PER LA LIBERTÀ TRA I MONTI DELLE MARCHE
Nell’incontro consueto al Quirinale prima delle celebrazioni ufficiali del 25 aprile con i Presidenti delle Associazioni combattentistiche e partigiane il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lodato «l’impegno e la determinazione che le associazioni impiegano ogni giorno per tener viva la memoria di un periodo tra i più drammatici della nostra storia contribuendo in ampia misura a far conoscere e non dimenticare quanti hanno lottato per la difesa degli ideali di indipendenza e di libertà che permisero la liberazione dell’Italia dall’oppressione nazi-fascista». Ricordiamo allora alcune significative figure di donne che nel nostro territorio hanno contribuito al cammino verso la libertà.

NUNZIA CAVARISCHIA
Nunzia se ne andata l’anno scorso a 93 anni. Nasce a Roma il 23 febbraio 1929.
Staffetta del gruppo 201 volante, soprannominata Stella Rossa. Inizia la Resistenza nell’ottobre del 1943. Il 25 luglio 1943 Nunzia, in seguito ai bombardamenti del quartiere San Lorenzo a Roma, si rifugia a Caldarola, ospite di parenti. In autunno tutta la famiglia si trasferisce nelle Marche e in dicembre si sistemano a Valcimarra. Qui il padre Giovanni continua la sua la sua attività antifascista entrando in contatto con Fedro Buscalferri, il Comandante Acciaio e con Luigi Angeli, entrando a far parte del Gruppo 201. Nunzia allora quindicenne diventa la staffetta del gruppo spostandosi fra Fiungo, Valcimarra, Caldarola, Burgianello e Campolarzo. Ricorda le paure Nunzia: «A Monastero c’erano anche alcuni slavi, che erano parecchio sbrigativi e dal grilletto facile, e sparavano quindi con estrema facilità. Una volta che andai là per portare un messaggio, mi chiesero la parola d’ordine, che io non conoscevo, e fui minacciata con un mitra. Per fortuna passò di lì un partigiano che urlò: – Matti, questa è la figlia di Nanni, ma che scherzate? – E mi lasciarono andare». Racconterà anche la storia del soldato tedesco che alcuni anni fa incontrò. Davanti ai rigurgiti nazifascisti dirà: «Non era questa l’Italia per la quale molti di noi hanno rischiato la vita». Nunzia, risiedeva ad Acquacanina, dopo il terremoto per qualche tempo vivrà in una soluzione abitativa provvisoria, una casetta di circa 40 mq.
RINA ARTECONI
Staffetta partigiana, che ogni 3/4 giorni si recava in montagna con un canestro sul capo dove vi erano, oltre agli indumenti e al cibo, bombe a mano, munizioni e cibi, e qualche pacchetto di sigarette. Fardello pesante che portava sul capo per vari chilometri attraverso i boschi ed impervi stradelli nel buio cupo della notte, per raggiungere la postazione dove il Gruppo ” Lupo 1″ era dislocato. Rina correva sicuramente moltissimi rischi, se scoperta, sarebbe stata di certo fucilata. Ogni volta che raggiungeva il Gruppo, Rina non solo consegnava ciò che aveva trasportato, ma si metteva in cucina e preparava il rancio per tutti i 26 uomini, poi ritirava la biancheria sporca di tutti se la portava con sé, la riportava pulita la volta successiva. Ogni volta che si recava in montagna, lasciava soli in casa i suoi figli, tutti in tenera età.

FERNANDA PACI
Arrivata a Jesi al seguito del padre, “Nanda” è stata impegnata nella Resistenza come
staffetta, accanto al marito Amato Tiraboschi (nome di battaglia Primo), vice comandante e
poi comandante della V Brigata Garibaldi. Un rapporto maturato in ambiente antifascista,
nella comune appartenenza al Partito d’Azione, e culminato nel matrimonio nel 1935 e nella
nascita di due figli: Angelo che divenne deputato socialista e Franco. Nonostante i bambini piccoli, Fernanda girava per le valli delle Marche per tenere collegamenti tra i vari gruppi partigiani a diffondere informazioni.

LEDA ANTINORI
Di famiglia antifascista, non ancora diciassettenne entra a far parte del Gap e del Sap di Fano (5ª Brigata Garibaldi); diventa staffetta capo-servizio per i collegamenti del gruppo di comando, rivelando coraggio e determinazione: trasporta messaggi, armi, stampa clandestina, lungo la vallata del Metauro fino alla Gola del Furlo. È anche responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna. Viene arrestata dalle SS il 20 luglio 1944 alla periferia di Fano mentre sta effettuando un trasporto d’armi e si lascia prendere per salvare i compagni che sono con lei. Nonostante gli estenuanti interrogatori non rivela alcun nome. Dopo la carcerazione a Mondolfo e Novilara viene trasferita nelle carceri di Forlì e Bologna e condannata a morte. Riesce a fuggire in seguito al bombardamento che il 12 ottobre 1944 colpisce le carceri bolognesi, inizia una fuga travagliata attraverso le campagne dell’Emilia Romagna, senza riparo e vestiti adeguati, in una zona che stava per diventare immediata retrovia del fronte. Trova ospitalità a Faenza e riprende a fare la staffetta; arriva poi nel forlivese e in questa zona già liberata subisce l’arresto da parte dalle truppe polacche, che la liberano solo quando viene riconosciuta da un partigiano slavo. Rientra a Fano (la città era stata liberata il 27 agosto 1944) poco prima di Natale e si iscrive al Partito comunista, ma è fortemente provata dalle sofferenze e distrutta fisicamente per le violenze subite; muore di tubercolosi il 3 aprile 1945; aveva da poco compiuto 18 anni.

ADA NATALI
Nata a Massa Fermana il 5 marzo 1898, morta nel 1990, insegnante, prima donna eletta Sindaco in Italia, deputata comunista. Era figlia di Giuseppe Natali, sindaco socialista di Massa Fermana che, nel 1922, gli squadristi avevano picchiato a sangue. Anche la “maestra Ada” (come la chiamavano i suoi compaesani), dovette subire le persecuzioni fasciste. Si era iscritta a Legge a Macerata e, quando chiese di poter insegnare in un paese non troppo lontano dalla sede universitaria, fu mandata ad Apezzana di Loro Piceno, una località dove non c’erano ancora le strade. Così la “maestra Ada”, quando doveva andare all’Università, era costretta a percorrere faticosi sentieri, per poter poi prendere, a Passo Loro, un pullman per Macerata. Caparbiamente la ragazza, che era definita dalla polizia fascista “sovversiva comunista pericolosa”, riuscì a laurearsi in Giurisprudenza e in quegli anni, oltre che ai suoi scolari, insegnò a leggere e a scrivere ai contadini analfabeti della zona. Dopo l’8 settembre 1943, Ada Natali prende parte alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza marchigiana. Partecipa, con i partigiani del Maceratese, alle battaglie di Pian di Piega e San Ginesio. e, dopo la ritirata dei nazifascisti, torna al suo lavoro di insegnante elementare a Massa Fermana. Nel 1945, militante del Pci, è eletta sindaco. È la prima donna, in Italia, che assume questo incarico e, nel 1946, istituisce nel suo Comune le “colonie” per i bambini delle famiglie più povere. Nelle elezioni politiche del 1948, la “maestra Ada” è come unica candidata comunista nelle Marche e viene eletta alla Camera dei deputati.
MAGDA MINCIOTTI
Nata a Fossato di Vico (Pg) il 20 luglio 1929, morta a Pesaro (PU) il 28 luglio 1990. Apparteneva a una famiglia antifascista di tradizioni mazziniane, che partecipò compatta alla Resistenza a Chiaravalle, dove si era trasferita. Nonostante la giovanissima età anche Magda fu partigiana: a fine giugno ’44, quando le truppe tedesche si stavano ormai ritirando dalle Marche, spense le micce accese sul ponte in direzione di Jesi, salvandolo dalla distruzione; il 22 giugno soccorse, di notte, il partigiano Nello Congiu, ferito mortalmente nello scontro a fuoco con una pattuglia tedesca. L’8 luglio 1944 le SS fecero irruzione nella casa dove la famiglia Minciotti era sfollata a Monte San Vito, per sorprendere il fratello Giacinto, comandante del distaccamento “Nello Congiu”: Magda fu arrestata per rappresaglia insieme al fratello Giorgio. Nella visita di idoneità fatta a Forlì nella caserma Gnr di via Romanello, centro di raccolta dei rastrellati per la deportazione, Magda fu destinata al lavoro coatto in Germania nella fabbrica Siemens di Norimberga. Giorgio, cagionevole di salute e selezionato per lavori leggeri in Italia, chiese di seguire la sorella minore per offrirle aiuto e protezione, aveva solo 15 anni. Soffrirà e vivrà di stenti a scavare trincee nel ghiaccio delle Ardenne. Pochi giorni dopo il suo arresto, su un blocchetto di ricevute scadute trovato per caso, Magda iniziò a scrivere un diario che continuò fino al momento della Liberazione. Tornata a casa nel luglio 1945, ricopiò il testo su un quaderno e scrisse una prefazione, manifestando il proposito di far conoscere la sua storia. Ma, nel clima di generale indifferenza con cui la società del dopoguerra accolse il ritorno dei reduci e le donne un marchio d’infamia l’essere state deportate in Germania, Magda scelse il silenzio. Conservò il diario e altri documenti di prigionia per lunghissimi anni e li consegnò al figlio Giorgio poco prima della sua morte.

RUTH WARTSKI
Nasce a Danzica (Polonia) 18 maggio 1925 e muore a Macerata nel 2006. Ebrea polacca, nata nel corridoio di Danzica, scappa con la famiglia dalla Polonia dopo l’emanazione delle leggi razziali. Si rifugia a Milano, dove insieme al fratello Hainz, rimane per tre anni. I suoi genitori e suo fratello più piccolo si trovavano a San Ginesio, infatti il padre prima era stato internato all’ Abbadia di Fiastra poi trasferito il 2 aprile del 1942 in domicilio coatto a San Ginesio. L’8 settembre 1943 insieme al fratello raggiunge la famiglia a San Ginesio. Vi rimangono dal 9 settembre al 30 novembre, quando decidono di scappare in montagna per evitare l’arresto e la deportazione in Germania. Partono alle 6 del 1° dicembre, camminano per 12 ore e alle 18 giungono a Monastero. Uno dei due fratelli chiamò il comandante, Augusto Pantanetti, che li fece accomodare in una casa e li interrogò a lungo per paura che fossero spie, tanto più che il loro italiano era ancora molto incerto. La loro fortuna fu che Pantanetti aveva combattuto sia in Albania che in Grecia a fianco dei tedeschi e sapeva perfettamente di che cosa erano capaci, perciò comprese la situazione e diede loro ospitalità, sistemò gli uomini insieme agli altri della banda, mentre lei venne alloggiata in una scuola non utilizzata. Da quel momento rimase in montagna a Monastero con il Gruppo Banda Niccolò e tra rischio e paura il comandante Pantanetti si innamorò di lei e lei le donò il suo cuore così il 30 giugno del 1944 si sposarono in amore e libertà.
